DECAMERON, II GIORNATA: ANDREUCCIO DA PERUGIA

Andreuccio da Perugia è la quinta novella della seconda giornata del Decameron del Boccaccio, in cui «si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine». Protagonista del racconto è Andreuccio, un giovane sprovveduto che si reca a Napoli per acquistare alcuni cavalli. Boccaccio informa subito il lettore dell’ingenuità del ragazzo, per la prima volta in viaggio da solo, descrivendolo mentre estrae la borsa con cinquecento fiorini d’oro incurante della folla intorno. Il piccolo bottino viene immediatamente adocchiato da Fiordaliso, giovane e attraente prostituta di origini siciliane, che non manca di ordire un inganno ai suoi danni. La donna si informa infatti sul suo passato e sulle sue parentele e, ottenute le informazioni necessarie, lo invita a cena, durante la quale lo persuade di essere la sua sorellastra, figlia dello stesso padre, vestendo i panni di una giovane donna ricca che, insieme al marito, è dovuta fuggire dalla Sicilia perché invisa al re Federico II d’Aragona.

Il giovane, sentendo nominare con estrema precisione tutti i fatti relativi alla propria famiglia, le crede senza tentennamenti e accetta il suo invito a dormire presso di lei. Coricatosi, sente il bisogno di usare i servizi, ma una trave mal fissata lo fa precipitare nella latrina e, mentre si dibatte tra i liquami, Fiordaliso si appropria del suo denaro e fugge. Intuita la beffa, dopo aver a lungo invocato aiuto, Andreuccio riesce a uscire e si dirige così puzzolente verso il proprio albergo. Per strada incontra due ladri, che lo convincono a unirsi a loro nel furto delle insegne e dei paramenti di un vescovo appena deceduto. Attratto dalla possibilità di rimediare al furto subito, Andreuccio accetta, ma dato l’insopportabile lezzo, i tre si fermano nei pressi di un pozzo affinché il ragazzo si lavi. Mentre costui è sul fondo, spaventati dall’arrivo di alcune guardie, i complici fuggono lasciandolo laggiù. Il giovane si direbbe spacciato, ma la fortuna vuole che i sorveglianti, assetati, tirino la corda del pozzo per un secchio d’acqua. Al comparire dell’uomo in luogo del vaso, i poliziotti arretrano però impietriti e scappano a gambe levate. Andreuccio, meravigliato, si rimette in cammino e incontra nuovamente i due ladri. Unitosi a loro, i tre si dirigono al cimitero. Una volta raggiunta la tomba, ordinano proprio a lui di calarsi all’interno dell’arca e di passare loro il ricco bottino. Ormai più avveduto, il ragazzo consegna loro la mitra, il pastorale e i guanti, tenendo per sé il preziosissimo anello episcopale di rubini. Accortisi dell’inganno, i due complici puniscono però Andreuccio abbassando il pesante coperchio della tomba sulla sua testa chiudendolo per sempre nella bara. Dopo diversi tentativi vani, il protagonista si rassegna a morire così, quando la fortuna lo soccorre un’altra volta. Dall’esterno giungono alcuni rumori: è un altro gruppo di ladri – tra i quali un prete – anch’essi intenzionati a saccheggiare la bara del vescovo. Ecco allora che quando costoro aprono l’arca e il prete inizia a calarsi dai piedi Andreuccio afferra con decisione le sue gambe, terrorizzandolo. I nuovi ladri scappano quindi a gambe levate, come se da centomila diavoli fosse perseguitati, lasciando il coperchio sollevato: il giovane può finalmente uscire e fare ritorno al suo albergo. Imparata finalmente la lezione, il ragazzo riparte il mattino dopo alla volta di Perugia con l’anello di rubini al posto della borsa di denaro.

Analisi e commento della novella Andreuccio da Perugia

L’andamento della novella Andreuccio da Perugia è circolare, come dimostrano la partenza e il ritorno all’ostello (o a Perugia, in una prospettiva più ampia), e tra l’apertura e la chiusura della narrazione tra inganni, fughe, smarrimenti e lieti fine. Ognuna delle avventure si avvale infatti di questi espedienti, dipinti da Boccaccio con coloriture formali molto vivaci giocando e insistendo molto spesso sull’elemento comico (come nella caduta nella latrina e nella descrizione del prete mentre entra nella tomba). Oltre al grottesco, l’autore si concentra molto anche sulla verosimiglianza delle scene. Ecco allora l’insistenza sulla puzza nauseabonda che emana Andreuccio, tale da spingere i tre a una deviazione verso il pozzo che costerà loro più di un imprevisto, nonché l’inserzione di un’ulteriore avventura per il protagonista. Tuttavia è proprio questa avventura, quella del pozzo, a risvegliare l’ingegno di Andreuccio. Arrivato a Napoli sprovveduto, ingenuo e affatto furbo, realizza finalmente quante insidie e truffe nasconda una realtà mondana come quella napoletana, peraltro particolarmente cara al Boccaccio che l’aveva vissuta per moltissimi anni al seguito del padre. Questo risveglio spinge finalmente il giovane a reagire e ad approfittare proprio di quei mezzi che gli erano stati finora usati contro, ed ecco la beffa ai danni dei due complici, ai quali non consegna il bene più prezioso del vescovo, e della seconda banda di ladri, ai quali lascia credere di essere uno spiritello. Solo adesso, esauritosi il percorso notturno e formativo, Andreuccio è finalmente pronto a tornare a Perugia. L’esperienza napoletana non è però conclusa in una notte, ma fornisce al ragazzo un nuovo senno, una nuova attenzione e una nuova scaltrezza che, nel mondo mercantile del Trecento così ben noto all’autore, rappresentano la migliore chiave per il successo economico.

Il tessuto sociale rappresentato dal Boccaccio si scosta dalla tradizione cavalleresca Duecentesca per spaziare tra l’antica nobiltà feudale e la borghesia comunale, tra la servitù e i mercanti. Le differenze economiche, i privilegi di nascita si caricano infatti di un nuovo significato, che l’autore non manca mai di sottolineare: le diseguaglianze sociali possono essere superate grazie all’esercizio dell’intelligenza e delle capacità personali. Attraverso le proprie virtù, ogni personaggio può riscattarsi raggiungendo o le vette della magnanimità e della generosità o attestandosi, più frequentemente (ed è questo il caso di Andreuccio), nell’impiego della ragione e dell’intelligenza. Nel caso di un mercante, una simile virtù si manifesta nel calcolare il rapporto tra rischio e guadagno, nella prontezza di reazione, nell’arguzia, nella capacità di fronteggiare ogni imprevisto. Quest’ultima qualità è peraltro individuata dal Boccaccio con il termine industriae specificamente riferita al ceto mercantile.

Andreuccio da Perugia è un esempio lampante di questa emancipazione, della possibilità di cambiare la propria sorte avvalendosi del proprio ingegno, del proprio ragionar e, perché no, di un pizzico di fortuna.

FONTE: https://blog.graphe.it/2016/04/25/andreuccio-da-perugia-decameron-riassunto-commento

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