“Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” e “La Ginestra” di G. Leopardi

Nella poesia “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” Leopardi si cala nelle vesti di un pastore e interroga la luna sulla sua condizione umana.Il canto è costituito da un susseguirsi di domande e di riflessioni, che interrompono l’ideale colloquio tra il pastore, in cui si adombra il poeta, e la luna, che qui è un astro gelido, indifferente, distaccato, simbolo della natura bella e impassibile verso il nostro soffrire, così come appare nel dialogo tra la Natura ed un Islandese.

Fa da sfondo al colloquio il paesaggio notturno, silenzioso e sterminato, che accentua il senso della piccolezza dell’uomo nell’immensità del creato, e il senso del mistero che lo avvolge. Da notare che tutte le strofe terminano con la rima costante in -ale che suggerisce, come dice il Fubini, un’impressione musicale di antichissima nenia.

Di fronte alla monotonia di questa esistenza, il pastore domanda alla luna qual è lo scopo del corso degli astri e della vita umana. La domanda non cade nel vuoto, l’accoglie il poeta stesso, nelle vesti del pastore, che, nella seconda e nella terza strofa (vv. 21-60), espone l’allegoria drammatica della vita umana. La vita umana è una corsa affannosa verso la morte, verso il nulla: somiglia al destino di un vecchio infermo con gravissimo fascio sulle spalle, che attraverso mille difficoltà corre verso l’abisso, simbolo della morte, nel quale precipita e si annulla.

Se dunque l’uomo nasce per soffrire, è meglio non nascere (vv. 61-104).

Forse, conclude il pastore, se io possedessi le ali per voli più sublimi o il dono dell’energia cosmica, se io cioè non avessi i limiti della mia natura, sarei veramente felice. Ma anche ciò è una vana illusione: il giorno della nascita è funesto (apportatore di dolore) a tutti gli esseri, nascano essi in covili, siano cioè essi animali, o siano posti in una culla, siano cioè essi uomini (vv. 133-fine).

Il tono del canto è elegiaco, perché esprime l’elegia, il lamento del poeta sulla sorte dolorosa di tutti gli esseri viventi.

Fonte: https://cultura.biografieonline.it/leopardi-canto-notturno/

 

LA GINESTRA

La ginestra” di Giacomo Leopardi è stato uno dei suoi ultimi componimenti, edito postumo nel 1845 nell’edizione napoletana dei Canti, a cura di Antonio Ranieri. Il poemetto lirico-filosofico si compone di sette lunghissime strofe in stile vario e metrica libera. “La ginestra” è stata composta presso Villa Ferrigni, luogo che è stato oggi rinominato Villa della Ginestra, a Torre del Greco.

La ginestra o il fiore del deserto si apre con una citazione dal Vangelo di Giovanni e viene riconosciuto come una sorta di testamento poetico di Leopardi, il quale riflette sulla natura e sulla condizione umana mentre osserva una ginestra alle pendici del Vesuvio.

Tema chiave del componimento è la contemplazione del paesaggio attorno al Vesuvio, perfetta metafora della condizione umana e del rapporto con la natura.
Il paesaggio: desertico, imponente, minaccioso, estraneo. Incarna l’indifferenza e la ferocia che Leopardi attribuisce alla natura, vista come nemica e responsabile del dolore dell’uomo e di tutti gli esseri viventi. Qui si vede il pessimismo cosmico tipico di Leopardi, quella visione totalmente negativa della natura per la quale ogni essere vivente è condannato alla perpetua infelicità.
Il Vesuvio in questo componimento simboleggia questa natura devastatrice e onnipotente, e la storia umana sembra priva di senso.  Eppure, una salvezza c’è: la solidarietà tra gli esseri umani. Solo così gli uomini possono reagire all’ingiustizia della natura.

Fonte: https://www.sololibri.net

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