Promessi sposi sono un romanzo storico ambientato nella Lombardia del 1628-1630, che ha per protagonisti i giovani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella il cui matrimonio viene impedito dal signorotto del loro paese, don Rodrigo, a causa di una futile scommessa col cugino Attilio. In seguito a un tentativo di rapimento della ragazza, i due fidanzati sono costretti a separarsi e a fuggire, andando incontro a una serie di disavventure (Lucia incontrerà la monaca di Monza, l’innominato, il cardinal Borromeo, mentre Renzo sarà coinvolto nei moti popolari a Milano il giorno di S. Martino del 1628 e dovrà rifugiarsi nel Bergamasco). La peste del 1630 farà in modo che i due promessi si ritrovino nel lazzaretto di Milano e, in seguito alla morte del loro persecutore a causa dell’epidemia, potranno infine sposarsi e trasferirsi nel territorio di Bergamo.
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Genesi del romanzo
L’interesse per la storia è sempre stato preminente in Manzoni. Punto di partenza per l’ideazione del romanzo fu certamente la lettura di molti testi e documenti del periodo e del luogo in cui la storia venne poi di fatto ambientata, ovvero la Lombardia del secolo XVII, e in particolare la grida datata 15 ottobre 1627 in cui le autorità milanesi minacciavano pene severe contro chiunque minacciasse un curato perché non celebrasse un matrimonio, che è ovviamente il fatto che dà inizio alla trama del romanzo (è la stessa grida letta dall’Azzecca-garbugli a Renzo nel cap. III del romanzo). Lo scrittore ideò pertanto una vicenda in cui personaggi umili subiscono le angherie di un esponente della media aristocrazia locale, in uno scenario che è quello della Lombardia dominata dagli Spagnoli nel Seicento, ovvero uno Stato decadente in cui, oltre ad esserci un grave malgoverno che causa molti disagi alla popolazione (la cattiva gestione della carestia, l’incapacità di fronteggiare la peste…), vi è una giustizia assolutamente inefficiente che non assicura il rispetto delle leggi e in cui i forti e i prepotenti hanno la meglio grazie ai loro appoggi politici e alla violenza. Pieno di entusiasmo per questo nuovo progetto letterario, Manzoni si dedicò alla prima stesura del romanzo nel 1821-1823 e ne nacque un abbozzo noto con il titolo provvisorio di Fermo e Lucia.
Storia editoriale del romanzo e questione linguistica
Il Fermo e Lucia fu ben presto abbandonato e rimase sostanzialmente incompiuto, per ragioni narrative legate alla trama e, soprattutto, per il problema della lingua che non soddisfaceva assolutamente Manzoni e alla soluzione del quale dedicò un lungo lavoro durato quasi un ventennio. L’aspirazione del romanziere era quella di rivolgersi a un ampio pubblico di lettori borghesi, il che rendeva ovviamente impensabile l’uso del dialetto lombardo che avrebbe confinato il romanzo a una diffusione regionale; tuttavia l’italiano conosciuto da Manzoni era quello della tradizione letteraria elaborato sul modello fiorentino del Trecento (lo stesso usato da lui nelle tragedie e negli altri scritti precedenti il romanzo), e questa lingua aveva il grave difetto di non corrispondere all’uso corrente della popolazione, cioè di essere artificiale, oltre che troppo aulica e altisonante per essere messa in bocca a personaggi umili come i contadini protagonisti della vicenda. L’italiano letterario poteva andar bene per opere poetiche come le Odi (come risulta ne “Il Cinque Maggio”), ma sarebbe suonata alquanto ridicola se attribuita a poveri popolani come Renzo, Lucia, Agnese. Il risultato del primo abbozzo del Fermo e Lucia fu dunque una lingua composita, in cui su un fondo di toscano letterario Manzoni tentò di innestare lombardismi, francesismi e voci popolari, ottenendo però un vero e proprio “pasticcio”; a ciò si aggiungeva l’ulteriore difficoltà rappresentata dal suo non essere toscano e dal fatto che la sua lingua naturale era il dialetto lombardo, cosa che influenzava inevitabilmente la stesura della prosa (nella seconda Introduzione al Fermo e Lucia egli afferma che il dialetto gli “cola dalla penna”, con un’espressione che chiarisce bene il condizionamento delle sue abitudini linguistiche). Per tutte queste ragioni la stesura del Fermo venne abbandonata nel 1823 e, negli anni seguenti, Manzoni si dedicò alla riscrittura del romanzo di cui venne modificata la trama, mentre la lingua, pur restando sostanzialmente il toscano letterario della prima versione, fu tuttavia depurata degli elementi più dialettali e resa quindi di più facile lettura rispetto al primo tentativo. Nacque così la prima edizione del romanzo, che venne stampato a Milano nel 1827 dall’editore Ferrario col titolo I Promessi sposi. Tale edizione è nota anche col nome, brutto ma un tempo diffuso nella tradizione critica, di “ventisettana”.
Nonostante il notevole successo di pubblico riscontrato dal romanzo, l’autore era ancora profondamente insoddisfatto della lingua e questo lo spinse, negli anni successivi al 1827, a cercare un’altra soluzione al problema che andasse in una direzione affatto diversa da quella, apparentemente obbligata, del toscano della tradizione letteraria. Manzoni si convinse che la soluzione fosse quella di adottare, sì, il toscano come lingua del romanzo, ma quello moderno parlato dalla borghesia colta di Firenze. Negli anni successivi al 1827 Manzoni si recò dunque spesso a Firenze e soggiornò nella città toscana per lunghi periodi, al fine di impadronirsi della lingua e compiere quella “risciacquatura dei panni in Arno” che avrebbe portato alla revisione linguistica del romanzo.Il risultato di questo complesso lavoro fu l’edizione definitiva dei Promessi sposi, stampati ancora a Milano nel 1840-42, mantenendo la trama sostanzialmente immutata (è la cosiddetta “quarantana”, che riscosse un successo ancora superiore alla “ventisettana” e molti consensi anche di critica). La soluzione al problema della lingua applicata da Manzoni incontrò grande favore da parte di molti intellettuali e divenne il fondamento di quell’italiano lingua di popolo che si sarebbe formato, in modo lento e graduale, nei decenni successivi all’unificazione politica.
L’ambientazione storica
Scopo dell’autore è dunque rappresentare con un certo realismo le condizioni di vita delle popolazioni contadine e umili di quell’epoca difficile, rese ancor più dure da eventi traumatici quali la carestia del 1627-28 e l’epidemia di peste del 1630, ma soprattutto criticare l’inefficienza e l’inadeguatezza del governo e delle istituzioni politiche nel fronteggiare quei gravi avvenimenti.
La Provvidenza e l’elemento religioso
Narratore e punto di vista
FONTE: https://promessisposi.weebly.com/presentazione.html
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