Una parodia: “Piove” di E. Montale

Piove – E. Montale (1971)

Piove. È uno stillicidio
senza tonfi
di motorette o strilli
di bambini.

Piove
da un cielo che non ha
nuvole.
Piove
sul nulla che si fa
in queste ore di sciopero
generale.

Piove
sulla tua tomba
a San Felice
a Ema
e la terra non trema
perché non c’è terremoto
né guerra.

Piove
non sulla favola bella
di lontane stagioni,
ma sulla cartella
esattoriale,
piove sugli ossi di seppia
e sulla greppia nazionale.

Piove
sulla Gazzetta Ufficiale
qui dal balcone aperto,
piove sul Parlamento,
piove su via Solferino,
piove senza che il vento
smuova le carte.

Piove
in assenza di ermione
se Dio vuole,
piove perché l’assenza
è universale
e se la terra non trema
è perché Arcetri a lei
non l’ha ordinato.

Piove sui nuovi epistemi
del primate adue piedi,
sull’uomo indiato, sul cielo
ominizzato, sul ceffo
dei teologi in tuta
o paludati,
piove sul progresso
della contestazione,
piove sui work in regress,
piove
sui cipressi malati
del cimitero, sgocciola
sulla pubblica opinione.

Piove ma dove appari
non è acqua né atmosfera,
piove perché se non sei
è solo la mancanza
e può affogare.

La poesia scritta da E. Montale é una parodia della “Pioggia nel Pineto” di G. D’Annunzio. In questa poesia Montale passa in rassegna la condizione politica e culturale degli anni ‘70: dalle agitazioni sindacali, alle contestazioni giovanili, dalle nuove scienze, alle imprese spaziali, alla politica.
La poesia Piove si compone di otto strofe diseguali, con la presenza di rime sparse. La parola «piove» apre ogni stanza e compare in maniera quasi ossessiva per ben quindici volte, sempre ad inizio di verso. Il verbo è chiara allusione a «La pioggia del pineto» ove D’Annunzio alterna l’espressione ad imperativi che invitano a fare silenzio per ascoltare le «parole più nuove/ che parlano gocciole e foglie/ lontane». Il poeta ci parla di una pioggia reale che genera nell’uomo e nella donna una sensazione di coinvolgimento panico con la natura.

La pioggia ha una valenza negativa, non genera sensazioni uditive piacevoli, non cade dalle nubi, come sempre capita, ma si mescola allo squallore della quotidianità ( lo «sciopero generale»).

Dalla terza strofa comprendiamo che il poeta sta dialogando con la moglie Drusilla Tanzi, scomparsa nel 1962. Le apostrofi di d’Annunzio a Ermione sono qui sostituite dal rapido riferimento di Montale alla tomba di San Felice dove la donna é sepolta. Piove sulla tomba dell’amata, perché il tempo distacca dalle persone care, che non rimangono nemmeno nel ricordo. Tutto si mostra senza senso e la natura immutata e sempre uguale a sé, risulta insensibile e impassibile alle sorti dell’uomo (qui il poeta si dimostra fortemente Leopardiano).

Il componimento denuncia la totale assenza di poesia nella realtà, per cui la pioggia cade sulla «cartella esattoriale» (eccessiva imposizione di tributi) e sulla «greppia nazionale» (la mangiatoia della politica italiana), la strofa successiva coinvolge il mondo politico («piove sul Parlamento») e il diritto, («Piove/ sulla Gazzetta ufficiale»), la propria esperienza lavorativa («Piove su via Solferino», sede del Corriere della Sera, di cui Montale diviene redattore negli anni cinquanta),  «Piove senza che il vento/ smuova le carte»: la pioggia nulla cambia della realtà e le noiose carte rimangono ammassate nella medesima posizione.

Nella penultima strofa Montale ironizza sulle vantate acquisizioni, scoperte e invenzioni scientifiche della propria epoca («Piove sui nuovi epistemi/ del primate a due piedi»), sulla tronfia e boriosa presunzione dell’uomo che ha eliminato il senso di dipendenza da Dio («sull’uomo indiato, sul cielo/ ominizzato»), sui partiti comunista («teologi in tuta») e democristiano («teologi paludati»), sulla contestazione giovanile del ’68 («sul progresso/ della contestazione»), sul modo di pensare comune («sgocciola/ sulla pubblica opinione»). Nessuno sforzo umano sembra poter cambiare la realtà e risolvere la crisi. Che speranza ha allora l’uomo?

Dobbiamo leggere l’ultima strofa per capirlo. Il tu dialogico a cui si rivolge il poeta non è più la donna amata, ma un essere più elevato («Piove ma dove appari/ non è acqua né atmosfera,/ piove perché se non sei/ è solo la mancanza/ e può affogare»). Montale si sta qui rivolgendo al Mistero, a Dio, l’unico che può salvare l’uomo.

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