DIVINA COMMEDIA: INF. CANTO XXVI ( materiali lezione 12/12)

“FATTI NON FOSTE A VIVER COME BRUTI, MA PER SEGUIR VIRTUTE E CANOSCENZA”.

Argomento del Canto

Visione dell’VIII Bolgia dell’VIII Cerchio (Malebolge), in cui sono puniti i consiglieri fraudolenti. Incontro con Ulisse e Diomede, avvolti dalla stessa fiamma.
Riassunto
Dante e Virgilio si allontanano dalla VII Bolgia e risalgono sul ponte roccioso nel punto dove erano scesi a fatica, quindi proseguono lungo il cammino erto.  Dante sul fondo della VIII Bolgia vede le fiamme muoversi nella fossa, senza distinguere il peccatore nascosto dal fuoco. Virgilio, che lo vede così attento che gli spiega che dentro ogni fuoco c’è lo spirito di un peccatore (i consiglieri fraudolenti) che è come fasciato dalle fiamme.

CONTRAPPASSO PER ANALOGIA = Così come in vita i consiglieri fraudolenti attuarono di nascosto le loro frodi, così ora sono nascosti da una fiamma + lingua di fuoco = lingua del peccatore che trama l’inganno)

Incontro con Ulisse e Diomede (49-75)
Dante chiede a Virgilio di poter parlare con il fuoco che si leva a due punte in cui si rivelano nascosti Ulisse e Diomede. I due eroi greci che furono insieme nel peccato, ora scontano insieme la pena a causa dell’inganno del cavallo di Troia. La punta più alta della fiamma inizia a scuotersi, come se fosse colpita dal vento, quindi emette una voce come una lingua che parla. Ulisse racconta che dopo essersi separato da Circe, che l’aveva trattenuto più di un anno a Gaeta, né la nostalgia per il figlio o il vecchio padre, né l’amore per la moglie poterono vincere in lui il desiderio di esplorare il mondo. Si era quindi messo in viaggio in alto mare, insieme ai compagni che non lo avevano lasciato neppure in questa occasione; si erano spinti con la nave nel Mediterraneo verso ovest, costeggiando la Spagna, la Sardegna, il Marocco, giungendo infine (quando lui e i compagni erano molto anziani) fino allo stretto di Gibilterra, dove Ercole pose le famose colonne. La nave era giunta allo stretto, tra Siviglia e Ceuta.

Ulisse si era rivolto ai compagni, esortandoli a non negare alla loro esperienza, giunti ormai alla fine della loro vita, l’esplorazione dell’emisfero australe della Terra totalmente disabitato; dovevano pensare alla loro origine, essendo stati creati per seguire virtù e conoscenza e non per vivere come bestie. Il breve discorso li aveva talmente spronati a proseguire che Ulisse li avrebbe trattenuti a stento: misero la poppa della nave a est e proseguirono verso ovest, passando le colonne d’Ercole e dando inizio al loro folle viaggio. La notte mostrava ormai le costellazioni del polo meridionale, mentre quello settentrionale era tanto basso che non sorgeva più al di sopra dell’orizzonte. Il plenilunio si era già ripetuto cinque volte (erano passati cinque mesi) dall’inizio del viaggio, quando era apparsa loro una montagna (il Purgatorio), scura per la lontananza e più alta di qualunque altra avessero mai visto. Ulisse e i compagni se ne rallegrarono, ma presto l’allegria si tramutò in pianto: da quella nuova terra sorse una tempesta che investì la prua della nave, facendola ruotare tre volte su se stessa; la quarta volta la inabissò levando la poppa in alto, finché il mare l’ebbe ricoperta tutta.

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